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divani in viaggio

La banda del tabacco

Capo nono  

Mattinata nera per il Leonardo, dopo la sveglia lo aspettava una colazione di magro e digiuno. La Mariuccia doveva smaltire i postumi della sbornia di zuccheri del giorno prima e ovviamente ci andava di mezzo anche lui, nonostante di zuccheri non ne avesse toccati. Ma la Mariuccia non transigeva: niente zuccheri per lei, niente zuccheri per nessun’altro, anche se fosse stata la gestrice di una pasticceria. E così il Leonardo si era dovuto accontentare di un misero caffè e di un cracker senza sale. Fine del lauto pasto.

Meno male che la bicicletta non doveva usarla perché non aveva nemmeno le energie per pedalare. Prima o poi si sarebbe risolto a farla sistemare, ma doveva trovare un altro nascondiglio per le sigarette. Per ora era meglio lasciarla lì dov’era e continuare ad utilizzarla per quello scopo, finché non gli fosse venuta un’altra idea.

Erano già le otto, l’ora giusta per uscire e andare dal prestinè e comprare anche un nuovo pacchetto di sigarette che quello che aveva comprato l’altro giorno lo aveva già finito.

L’Andreina, in piedi dall’alba e già con una bella moka in corpo era di vedetta alla finestra. Vide il Leonardo uscire di casa, non si era avvicinato alla bicicletta, significava che le sigarette erano finite, era il momento buono per uscire e seguirlo. Forse sarebbe riuscita ad aggiungere un tassello in più alla storia, a capire da dove venivano quelle sigarette.

Con i tennis ai piedi, per camminare più veloce, imbucò la via dietro al Leonardo. Lo vide entrare dal prestinaio, rallentò il passo e lo vide uscire pochi minuti dopo con un sacchetto rigonfio in mano. Dovevano essere le michette che piacevano alla Mariuccia. Niente di strano fino a qui. Poi lo vide attraversare la strada e dirigersi al bar tabacchi del Piero.

Doveva prestare molta attenzione, non poteva distrarsi e lasciare niente al caso. Decise di entrare anche lei e vedere di persona. Si fece forza, spinse la porta dell’entrata:

“Buongiorno signora, desidera?”, disse il Piero.

“Buongiorno, ce le ha le caramelle alla liquirizia?”, ne avrebbe preso un pacchetto per la nipote a cui piacevano molto.

“Sì, signora, lì vicino alla cassa. Ne prenda pure.”

“Grazie, ne prendo un pacchetto. Quanto le devo?”

“Un euro e venticinque, signora.”

L’Andreina tese la mano con le monetine.

“Ed ecco il suo resto. Grazie e arrivederci.”

“Arrivederci.”

Uscì dal negozio infilando le caramelle nella borsa. Aveva fatto in tempo a vedere davanti a lei il Leonardo che aveva chiesto un pacchetto delle solite sigarette. Lui invece non aveva fatto in tempo ad accorgersi dell’Andreina perché si era fermato di spalle a parlare con qualcuno.

Sembrava tutto a posto, pensò l’Andreina. Il Piero aveva afferrato un pacchetto di sigarette proprio di quelle che erano in bella mostra nello scaffale dietro alle sue spalle. Certo, lei non era stata in grado di vedere come era posizionato il sigillo del monopolio, maledetta cataratta. Ma era sicura che nemmeno la persona più sprovveduta avrebbe lasciato così in bella vista qualcosa di illegale. Sentiva di essere sulla strada giusta, le mancava ancora qualche passo per raggiungere la verità, doveva solo sperare che l’Adele non le mettesse il carro davanti ai buoi, additando il Leonardo come un criminale.

Intanto la scuola materna era già gremita di grembiulini colorati. C’erano quattro classi infatti: i gialli, i blu, i verdi e i viola. La classe della Rosetta era quella dei verdi. Venti bambini tra i tre e i cinque anni. I più grandi aiutavano i più piccoli nelle attività.

Quella mattina la Rosetta stava passando tra i piccoli tavoli per guardare come disegnavano i bambini. Unico guizzo di creatività che il suo rigore permetteva. Si soffermò sul disegnò di un bambino: “Cosa hai disegnato qui?”

Il bambino rispose con candore: “Ho disegnato la mamma che prepara il cous cous.”

La Rosetta sbarrò gli occhi: “Il cus cus è un gioco che ti nascondi e dici cus cus quando qualcuno ti trova, non è un piatto da cucinare.”

“No, Rosetta”, insisté il bambino, “è un piatto marocchino che mia mamma cucina sempre.”

“Va bene, adesso non preoccuparti che poi ci parlo io con tua mamma.”

La Rosetta non ne poteva più di sentire in classe una babele di lingue. Erano in Italia, bisognava parlare italiano; avrebbe convocato la madre e glielo avrebbe detto. Parlare italiano, a casa, in classe, al parco, dove le pareva insomma, persino in chiesa poteva parlare, ma solo italiano. Che già nessuno capiva più il dialetto e doveva sempre pensarci lei a insegnarglielo ai bambini. Lei che era una maestra sapeva l’importanza della lingua madre, le veniva quasi da piangere a pensarci. Nessuno parlava più la lingua madre, il dialetto. Portare il dialetto fuori dai confini del territorio, se no si sarebbe perso, bisognava insegnarlo alla gente. Che guarda che l’italiano nel mondo lo capiscono tutti, lei lo sapeva anche se non aveva mai viaggiato. Gli altri lo capiscono ma non lo sanno parlare. Se solo ci fosse più gente come lei, a quest’ora tutti lo parlerebbero e tutti si capirebbero, invece che parlare ognuno la sua lingua che non serve a niente. La comunicazione è importante, ci vuole pragmatismo nella vita, mica tante storie. Tutti quelli che passavano da lei, nella sua classe il dialetto finivano per impararlo, deteneva il primato in tutta Legnano e nessuno glielo aveva mai riconosciuto. Ma a lei non interessavano le onorificenze, solo l’ottenimento dello scopo.

Ecco che così pensando, si fermò di colpo e si mise a gridare: “Ades cantiamo tutti insema, bambini.”

E i bambini iniziarono a spiegare le loro vocine tutti contenti.

“Marietta strascietta dov’è il tuo gattin?

L’è là in saletta che ‘l m mena ‘l cuin.

El bala, el canta el mena ‘l cuin…”

L’Adele stava organizzando tutto. Avrebbe aspettato l’indomani, poi con la scusa che l’amministratore della casa al mare aveva chiamato per metterla al corrente di alcuni lavori da fare nel condominio, si sarebbe fatta accompagnare dal Fausto. Oltre al fatto che passare un po’ di tempo al mare era un piacere e faceva schiattare d’invidia le tre marie, sempre lì tra il grigiore della città, avrebbe allontanato definitivamente il Fausto dalla criminalità. E poi adesso cercavano anche lei, perciò meglio sparire per un po’.

Così seduta dalla verandina che si affacciava sul mare, giornale alla mano, con lo sguardo all’orizzonte, si sarebbe gustata il giusto epilogo. I carabinieri sarebbero andati a vedere cosa nascondeva il Leonardo. Quel poveraccio, che non era coraggioso come il suo Fausto, se la sarebbe fatta addosso dalla paura e avrebbe confessato. Se lo figurava già il titolo sul giornale: Sgominata a Legnano per una soffiata anonima, pericolosa banda di criminali dediti al contrabbando di sigarette. Le dispiaceva soltanto non figurare come la salvatrice della patria. Niente foto con il sindaco, niente medaglie da appendere. Ma non poteva più esporsi. Tanto era solo questione di tempo, se suo figlio si fosse sposato allora si vedeva già in visita al Quirinale a conoscere pezzi grossi. Magari la avrebbero anche eletta senatrice a vita, chi lo sa.

Quel giorno l’Andreina ricevette una telefonata dalla figlia che le chiedeva se poteva portare a casa da scuola insieme alla nipotina anche il Tommaso, il nipote del tabaccaio, che abitava nella sua stessa via. Per lei non c’era problema, avrebbe fatto giocare un po’ i bambini, li avrebbe dato la merenda e poi lo avrebbe riaccompagnato a casa. La madre di Tommaso aveva chiamato e aveva chiesto un favore, solo per oggi, dato che sia lei che il marito avrebbero fatto tardi al lavoro. All’Andreina piacevano i bambini, lo avrebbe fatto volentieri.

Così aveva aspettato i bambini davanti al portone della scuola materna e li aveva portati a casa a giocare.

“Bambini, volete la merenda?”, chiese una volta arrivati a casa.

“Sì”, risposero i bambini affamati.

Quella mattina l’Andreina non aveva avuto tempo di preparare la torta di mele, ma riempì due belle michette di salame e le offrì ai bambini, che le divorarono contenti. Quindi corsero a giocare.

L’Andreina ne approfittò per andare a sistemare i grembiulini e gli zainetti che i bambini avevano abbandonato davanti all’ingresso.

Proprio mentre sollevava da terra lo zainetto di Tommaso, questo le cadde dalle mani per lo spavento.

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