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divani in viaggio

La banda del tabacco

Capo ottavo

L’Adele si era svegliata tardi, aveva detto al Fausto di essersi riposata abbastanza e che insomma anche lei aveva bisogno di un po’ di svago, non poteva mica rimanere chiusa tra quattro mura per sempre. Il Fausto, che non aveva alcuna intenzione di farsi dirigere di nuovo per tutta la giornata e che d’altra parte aveva dimenticato lo spavento del giorno precedente, cedette.

“Va bene, Adele, esci, ma stai nelle vicinanze.”

Ha paura che qualcuno tenti ancora di rapirmi, pensò l’Adele, mi terrà d’occhio ma tanto non può mica entrare al bar ad origliare. Meglio così.

“Sì, vado solo al bar della Elena nel pomeriggio con un paio di amiche.”

Il Fausto mugugnò qualcosa senza distogliere gli occhi da un interessante articolo del giornale locale che riportava le statistiche dettagliate sulle multe prescritte nel Comune di Legnano dalla polizia locale nel corso dell’ultimo anno. L’Adele lo prese per un sì.

Intanto la Mariuccia, scialle sulle spalle, si avviava per una visita mattutina all’Andreina, sperando di trovarla in casa. Doveva avvisarla subito della telefonata e del programma pomeridiano.

Suonò il campanello, l’Andreina vista l’ora non si aspettava fosse la Mariuccia.

“Ciao Mariuccia, cosa è successo? Hai bisogno di qualcosa?”

“Storia lunga, Andreina e di una certa urgenza, è meglio che ci sediamo e ti racconto tutto.”

“Sì, ma stai attenta a non scivolare che ho appena lavato il pavimento.”

“Sì, Andreina, preocupas no. Ieri sera ho ricevuto una telefonata dall’Adele in persona. Si è scusata per l’altro giorno, ha detto che non si è accorta perché andava di fretta. Per scusarsi mi ha invitato al bar questo pomeriggio a prendere il caffè.”

“E tu, cosa le hai detto?”

“Avevo la scusa pronta, le ho detto che non potevo perché avevo appuntamento con te. E sai cosa ha risposto? Porta anche l’Andreina. Mi rincresce nè, ma mi ha lasciato di strutto, senza parole. Non sapevo più cosa dire e ho risposto che andava bene. Alura mi accompagni?”

L’Andreina voleva cogliere l’occasione per capire cosa stesse macchinando quella pettegola e così acconsentì. “Preocupes no, vegni anca mi.”

“Vestiti bene della festa, con classe mi raccomando. Così sai che invidia le facciamo prendere.”

“Non preoccuparti Mariuccia, metterò le scarpe del tacco.”

“Brava, Andreina. Ci vediamo qua fora alle due meno un quarto così andiamo insieme. Grazie nè, a dopo. Ciao.”

“Ciao Mariuccia, a dopo.”

Ore quattordici, puntuale davanti al bar della Elena, c’era l’Adele ad aspettarle.

“Buon pomeriggio signore, come siete eleganti.”

La Mariuccia stava combattendo una strenua lotta, tra il crogiolarsi nei complimenti e il mantenere un contegno algido.

“Buongiorno signora Adele”, risposero all’unisono le due amiche.

“Ciao Elena, un mocaccino per me e per le signore?”

“Due mocassini anche per noi”, rispose la Mariuccia.

“Va bene signore, arrivano subito”, e la povera Elena si nascose dietro al bancone per tentare di soffocare una risata.

La Elena, figlia d’arte, cioè di baristi, aveva ereditato il bar dai genitori e lo guidava con l’aiuto del marito Sergio. La posizione vicina alla chiesa e al giornalaio era favorevole. La gente usciva da messa e andava a comprare il giornale e bere un caffè. Avevano una sala abbastanza grande, che lasciava spazio a tavolini abbastanza distanziati. L’arredamento era un po’ datato, ma la pulizia e la gentilezza erano di casa. Senza contare che negli anni era diventato un’istituzione per la città e lì ci andava la gente che conta di Legnano, la creme. Ecco perché la Mariuccia si sentiva tutta quell’agitazione e quell’adrenalina in corpo.

“Ovviamente signore offro tutto io, per scusarmi del malinteso dell’altro giorno. Adesso non c’è tanta gente, così si possono fare due chiacchiere, senza che orecchie indiscrete possano ascoltarci. Che fastidio quando la gente si mette di mezzo. E meno male che adesso non si fuma più nei bar, perché prima tornavo sempre a casa e dovevo mettere fuori all’aria i vestiti. Anche mio marito fuma, eh, ma poco”, cominciò l’Adele.

“Il mio ha smesso che sono dieci anni”, proferì inorgoglita la Mariuccia.

“Ah, complimenti, una bella forza di volontà”, rispose l’Adele.

L’Andreina lesse l’ironia nei pensieri dell’Adele.

“Che poi ho letto sul giornale che adesso ci sono un sacco di criminali che lavorano nel contrabbando di sigarette, anche qui da noi, mica solo giù nel Meridione. Che là si sa che è difficile trovare gente onesta. Nessuno ha mai voglia di lavorare, passano tutto il giorno tra mare e sole e poi si lamentano. Ma qui da noi, è sicuro che appena li scoprono arrestano tutti, mica si fanno corrompere. E il Fausto mio marito, ha detto che in quelle sigarette lì del contrabbando c’è dentro di tutto, persino la segatura, non è mica roba buona. Sembrano uguali a quelle vere ma imitano i pacchetti e i sigilli del monopolio, che quasi uno non se ne accorge, bisogna averci l’occhio allenato. Io non fumo ma se le vedessi me ne accorgerei. Adesso ci ho preso l’abitudine, se vedo qualcuno che fuma controllo sempre il pacchetto. Non voglio mica avere a che fare coi criminali io, gliel’ho detto al Fausto. Fausto, se un tuo amico fuma quella roba lì, basta, non lo vediamo più, cancellato dai contatti. Noi siamo gente onesta. E poi bisogna dirlo in giro, mica che possano fare i loro porci comodi. Non andare dalla polizia, ci mancherebbe, ma ricorrere a qualcuno che ha i titoli per smuovere qualcosa, qualcuno che ha studiato, qualcuno che ha una posizione. A proposito, lo sapete che il mio quasi consuocero è diventato assessore agli sport dilettantistici per il comune di San Giorgio su Legnano.”

La Mariuccia non ci stava capendo niente di quella storia lì, l’Adele le aveva fatto quasi venire il mal di testa e poi cosa c’entrava l’assessore adesso?

L’Andreina invece era vicina alla verità: l’Adele doveva avere scoperto che il Leonardo fumava sigarette di contrabbando e adesso stava giocando a fare le indagini, per prendersi i meriti di una punizione esemplare da affibbiare a quel povero malcapitato.

Non poteva parlarne con la Mariuccia ma questa storia le rincresceva. La Mariuccia e il Leonardo erano brave persone e voleva aiutarle. Ed anche ammesso che il Leonardo avesse fumato sigarette di contrabbando, poteva benissimo averlo fatto in buona fede, per ora non c’era alcun motivo di considerare che il Leonardo fosse in brutti giri. Lui che era noto trascorresse i pomeriggi al bar a giocare a carte con i suoi amici e non si spingeva più in là delle solite frequentazioni.

Ma dell’Adele c’era da temere, era stata scaltra. Aveva lasciato intendere senza troppo esporsi e in ogni caso per il momento era lei che aveva il coltello dalla parte del manico. In qualsiasi momento avrebbe potuto tradire il segreto del Leonardo. E se la immaginava già la Mariuccia, il viso trasformato in una maschera funerea, ad implorare gridando che il suo Leonardo fosse innocente. Ora non poteva lasciar cadere il discorso.

“Complimenti al suo consuocero. Eh, guardi, ha perfettamente ragione. I criminali non possono rimanere a piede libero e continuare a far del male e approfittarsi della povera gente. Il tabacco di contrabbando è fuori legge e son d’accordo con lei, non è cosa da tollerare.”

“Hai ragione, Andreina”, concluse la Mariuccia che si sentiva di dover esser in accordo con l’amica, che del resto era venuta fino a lì per sostenerla in quell’incontro.

“Sì, signore siamo tutte d’accordo. Ma cosa stavo dicendo, ah del mio consuocero. D’altronde mio figlio è bravo e intelligente e non poteva trovare altro. Ma avete visto adesso la pubblicità degli orologi? Un orologio di pelle nera con il quadrante d’oro, non mi ricordo più la marca ma è una di quelle lì svizzere famose. Beh, fanno vedere l’orologio sul polso di un modello, ma con tutti i bei ragazzi che abbiamo noi, cosa sono andati a prendere? Uno nero, di colore si dice adesso, che se no si offendono. Ma dico io, non era meglio un modello italiano, che anche mio figlio poteva andare, glielo ho detto, perché se lo può permettere eh, il fisico ce l’ha. Ma lui pensa solo a studiare, ha la testa sulle spalle. Non mi lamento. E hanno preso uno di quelli là, che magari non parla nemmeno italiano e noi siamo pieni di ragazzi che rimangono senza lavoro, e poi non si vede nemmeno il cinturino perché è nero. Pensare che c’ho messo un po’ io col mio occhio allenato al dettaglio, a capire il colore, figurarsi gli altri. E quelli lì della televisione che vogliono fare i moderni e cambiare le cose, ma a me piace vedere le cose che conosco.”

La Mariuccia si era persa via, stava raccogliendo col cucchiaino lo zucchero dal fondo della tazzina, perché nell’agitazione aveva messo due bustine. Pazienza, aveva pensato, mangio meno zuccheri domani e vado a posto. Glielo aveva detto anche il dottore.

L’Andreina adesso che aveva le idee chiare, cercò di togliere lei e la Mariuccia da ogni impiccio. “Mi scusi, signora Adele, ma adesso dobbiamo proprio andare. Devo andare a prendere mia nipote alla scuola materna e le avevo promesso che oggi saremmo andate a mangiare il gelato con la Mariuccia.”

“Mi dispiace salutarvi allora, spero di essermi potuta scusare a sufficienza”, rispose l’Adele.

“Grazie dei mocassini”, rispose la Mariuccia. In effetti quella roba lì che non aveva capito perché si chiamasse come una scarpa, l’era propri una bontà, roba da leccarsi i baffi.

“Arrivederci allora e magari ci vediamo presto.”

Falsa come Giuda pensò l’Andreina ma se lo tenne per sé. “Grazie e arrivederci.”

Tutti si ritennero soddisfatte di quel primo triumvirato: la Mariuccia per la dose proibita di zuccheri, l’Andreina perché aveva fatto chiarezza e l’Adele perché aveva messo le carte in tavola.

“Te, Andreina ma è vero che andiamo a prendere il gelato? Non vorrei esagerare per il diabete.”  

“No, Mariuccia, magari un’altra volta. Era una scusa per andare via da quella arpia.”

“Come sei furba Andreina, come una volpe. Ci vediamo domani allora. Te saludi.”

“Ciao, a domani.”

L’Andreina svoltò l’angolo e vide come al solito suor Teresa che raccoglieva tutte le sue forze per spalancare il portone della scuola materna e prepararlo all’uscita dei bambini.

Suor Teresa era stata giovane e intraprendente un tempo. Sua mamma, nel giorno del Corpus Domini del 1920, aveva dovuto affrontare un parto molto difficile per portarla alla luce e si era affidata alle preghiere del Signore che l’aveva ascoltata. Era nata una bambina in perfetta salute. Lei era l’ultima di sei fratelli e abitavano in un piccolo paese che era stato distrutto dalla guerra: c’erano sfollati, campi arsi e aridi. Era difficile procurarsi da mangiare e persino l’acqua pulita scarseggiava. Un giorno bevve dell’acqua contaminata e cadde vittima di febbri altissime, fu chiamato il sacerdote del villaggio per darle l’estrema unzione, ma non appena vide il rosario si sentì come trasportata in un abbraccio colmo di amore, aprì gli occhi e miracolosamente guarì. Da quel momento decise di dedicare la sua vita al Signore in segno di ringraziamento. Partì per le missioni nella Repubblica del Congo e si dedicò ai più piccoli. Li accudiva come avrebbe fatto una madre, lei che madre non era mai stata, sentiva che avrebbe votato il suo amore ai figli degli altri. Insegnava a leggere ai bambini, a contare, a pregare e soprattutto raccontava loro molte storie. Li regalava quella spensieratezza e quella tranquillità che dovrebbero essere proprie di ogni bambino. Attraverso la fantasia li vedeva sognare ad occhi aperti, volare in paesi che mai avrebbero visitato. Poi erano sopraggiunte le prime avvisaglie della vecchiaia e la gente del posto aveva già molto lavoro da sbrigare. Le poche medicine si esauriscono presto, i posti in ospedale sono limitati, le visite difficili da ottenere e lontane da alcuni remoti villaggi. E così si era rassegnata, su indicazione della sua superiora, era rientrata in Italia, dove avrebbe potuto tenere a bada gli acciacchi e stare lo stesso a contatto con i bambini. Certo, non come avrebbe voluto lei, ma vedeva quei visini felici ogni giorno salutarla mentre entravano dal portone della scuola materna.

“Ciao Sara, vai che tua nonna ti aspetta e fai la brava.”

“Se faccio la brava domani mi dai una caramella?”

“Sì, che sei sempre bella.”

E la bambina convinta di trovarsi di fronte ad una risposta affermativa, tornò a casa felice.  

Ma se con i bambini era facile parlare, nonostante non sentisse nulla, con le sue consorelle non si poteva dire la stessa cosa. In poche avrebbero superato l’esame audiometrico ed ecco perché nessuna l’aveva mai fatto. L’unica a cui ancora l’udito non giocava brutti scherzi era la superiora, suor Maria. Ma lei, pur sentendoci benissimo, vedeva le cose a modo suo.

Le altre suore, se pur meravigliate dalla sua bontà di cuore e dalla generosità, faticavano a far tornare i conti e dovevano mettere pezze in continuazioni sulle uscite più che generose e a volte immotivate che suor Maria concedeva a chiunque glielo chiedesse.

Se le cose andavano un po’ meglio era soltanto merito della maestra Rosetta. Da quando si erano risolte a rivolgersi a lei, chiedendole di gestire la contabilità della scuola, i conti erano andati in pareggio.

La Rosetta aveva accettato il tacito segreto, senza chiedere nulla in cambio ed all’oscuro da suor Maria. Non vedeva l’ora del resto di avere qualcos’altro da tenere a bada, non importava che fossero numeri e non bambini. L’importante era che l’ordine e il rigore fossero mantenuti secondo la più ferrea disciplina. E così, sentendosi come un generale durante il colpo di stato, aveva convocato nella sua classe ciascuna suora, facendole prestare giuramento. La dittatura si era instaurata con successo, senza violenza e spargimenti di sangue, forse l’unica della storia e le suore ne erano persino contente. La Rosetta avrebbe anche volentieri cambiato uniforme a tutte, una cosa più pratica coi pantaloni, ma questo andava oltre le sue possibilità, non voleva attirarsi le noie di una visita dall’ispettrice e rischiare il posto di lavoro. Si era accontentata.

Suor Teresa richiuse il portone e come sempre si guardò intorno per vedere se c’erano degli oggetti smarriti che avrebbe raccolto e messo da parte in una cesta. L’indomani li avrebbe riconsegnati ai piccoli legittimi proprietari. Era frequente trovare vestiti, giocattoli ma spesso anche oggetti che nonni o genitori perdevano. Fortuna che c’era lei, perché chiunque passando davanti alla scuola avrebbe potuto raccoglierli e portarseli a casa come se nulla fosse. Ma suor Teresa, paladina della portineria e degli oggetti smarriti combatteva il crimine prima che questo potesse verificarsi perché prevenire è meglio che curare.

La Rosetta fingendo di controllare le schede didattiche, aprì il registro dei conti per controllare le entrate e le uscite mensili.

Le altre suore preparavano la cappella per i vespri, le preghiere della sera, prima di andare a messa.

Poi la cena tutte insieme nel refettorio, tutte tranne la Rosetta. Lei tornava a casa a godersi una bella cenetta in solitaria, senza che nessuno la disturbasse, il giornale aperto sul tavolo e un bel piatto di due etti di pasta, che per gestire i bambini e sollevarli ci vogliono energie. D’altronde senza alcuna ora spesa in esercizi poteva vantare dei bicipiti che nemmeno i migliori culturisti avevano.

 Poi un po’ di televisione, niente di quelle smancerie di soap opera, solo polizieschi e film d’azione e poi via in lec, che le giornate erano lunghe e lei si svegliava presto. Fortuna che ottimizzava il tragitto andando in bicicletta, se no avrebbe dovuto svegliarsi ancora prima.

A proposito di bicicletta, aveva ancora quella del Leonardo da pagare, avevano chiamato e doveva aspettare che quel baluba la portasse dal ciclista per vedere a quanto ammontavano i danni. Tante storie per un manubrio storto, che magari con due belle pacche vigorose era capace di sistemare anche lei. Ma con certa gente era meglio non parlare, non voleva avere altre grane. Lasciamo stare. Recitò le orazioni e si addormentò di sasso.

Qualche via più in là la Mariuccia era tornata a casa e aveva raccontato la sua uscita di gala al Leonardo. Questi quando l’aveva vista rincasare dal bar, si era stupito dell’imbellettamento e avevo esclamato: “Sa l’è suces Mariuccia, che te me paret la madama Batterflai. In duve te se andada inscì consciada?”

“Ma cosa ne sai tu dell’eleganza, Leonardo. Che te se sempre vestì inscì persino quando ci siamo sposati. Sono andata a prendere il caffè come una sciura de Milan. Roba da fare invidia a tutto il quartiere.”

“Se tel diset ti”, che poi pensò un caffè è uguale da tutte le parti, l’importante è poterlo accompagnare con una bella sigaretta. Ma valla a capire la Mariuccia, a lui non interessavano quelle robe lì da donne. Meglio lasciarla stare prima che si mettesse in sciopero dai fornelli e quella sera gli sarebbe toccato mangiare una michetta vuota e un bicchiere d’acqua. Roba da galera.

“Stasera faccio una bella marmitta di barbabietole, Leonardo.”

“Ma se non puoi mangiarle, ta la dì el sciur dutur, per il diabete non vanno bene.”

“Eh, Leonardo, ma siccome oggi ho già bevuto il mocassino zuccherato e la leucemia mi è già salita, ades mangi anca quelle. Così domani non mangio più zuccheri e mi scende.”

Il Leonardo spalancò gli occhi, non ci aveva capito un’acca ma sapeva di trovarsi su un terreno scivoloso. Fare finta di niente, mandar giù il rospo e darle ragione, che la ragione si dà ai matti.

“Va bene, Mariuccia.”

Poco distante l’Andreina ragionava su quanto accaduto. Adesso le era chiaro che l’Adele aveva in qualche modo saputo che le sigarette del Leonardo erano roba di contrabbando. E avrebbe sicuramente potuto smascherarlo con le prove alla mano, per il momento aveva solo la sua parola contro quella del Leonardo. Ma non sarebbe stato difficile capire dove questi si procurava le sigarette e denunciarlo alla polizia. Tanto più che il Leonardo non era un tipo così attento da accorgersi se venisse pedinato. La Mariuccia non sapeva e non doveva sapere niente, coinvolgerla in questa storia era come infliggerle un colpo al cuore. Farle sapere che il Leonardo non solo non aveva smesso di fumare ma che fumava persino sigarette di contrabbando, le sarebbe costato un paio di by pass, come minimo.

Avrebbe dovuto fare tutto da sola. Come prima cosa doveva scoprire se il Leonardo era stato coinvolto in qualche giro o se ne era una vittima, in secondo luogo doveva cercare di pedinarlo per scoprire dove comprava le sigarette. Quella era la pista giusta da seguire. Sapeva che il Leonardo usciva la mattina a fare le commissioni, avrebbe spiato dalla finestra il momento in cui andava a prendere le sigarette sotto il sellino e sarebbe uscita anche lei. A lei non faceva paura niente, nemmeno la possibilità che l’Adele la vedesse.

Era ora di mettersi in gioco per una buona causa, doveva proteggere i suoi amici dalle grinfie dell’Adele. E così dicendo si era tolta la retina e i bigodini che aveva sulla testa, ogni ricciolo grigio era al suo posto. Brava Andreina, pensò, questo è solo l’inizio.

Una bella tazza di camomilla ed era pronta ad andare a dormire, che domani avrebbe avuto una giornata impegnativa.

Ogni cosa dormiva tranne i propositi di vendetta dell’Adele. Adesso era sicura che le due zabette l’avrebbero lasciata stare ma si trovava pur sempre in pericolo. Finché non avesse tirato fuori il Fausto da quella storia lì e non avesse colto sul fatto il Leonardo addossandogli ogni colpa, non avrebbe trovato pace. Ma siccome la bellezza trae giovamento da un sonno ristoratore, con la crema antirughe cosparsa sul viso si addormentò.

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