Un mondo di libri:
divani in viaggio
La banda del tabacco
Capo settimo
Parola d’ordine: agire. L’Andreina aspettò che buona parte della mattinata scorresse e lasciò che l’Adele uscisse a mettersi in mostra come tutti i giorni, perché chi ga nessun vantador, i se vanta de per lor. Infilò il paltò, le sigarette in saccoccia e le scarpe della domenica per l’occasione ed uscì. Si avvicinò alla casa dell’Adele, fece finta di fermarsi a citofonare ed infilò lesta il pacchetto di sigarette nella buca delle lettere. Aveva fatto la prima mossa, ed ora avrebbe aspettato.
Nel frattempo l’Adele guidava lungo il marciapiede il gruppo delle tre marie, dopo che tutte erano uscite dal bar dove avevano consumato il consueto caffè. Dritta davanti a tutti accelerava il passo con fierezza, innanzi, come quel che l’sona il tambur.
“Allora, ciao nè, vado che sono di corsa che ho un sacco di cose da fare”, disse l’Adele, fingendo una certa premura. Non aveva niente da fare, nessun appuntamento, ma le tre carampane, né tanto meno i passanti potevano saperlo. Si rivolse verso casa lasciandosele alle spalle. A quell’ora il postino doveva essere già passato, meglio controllare che in quei giorni doveva arrivare la bolletta del gas, le solite scocciature. L’avrebbe data al Fausto che lei non aveva mica tempo da perdere per andare a pagarla e stare in coda chissà quanto. Che poi all’ufficio delle poste, trovi di tutto e di più, la fila è lunga e gli impiegati non hanno mai voglia di lavorare. Il settore pubblico, lo scatafascio. Lei lo diceva sempre che era ora di privatizzare tutto, che le cose vanno meglio, anche se non aveva capito bene cosa volesse dire nello specifico ma ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Perché quando uno paga le cose vanno bene, come devono andare. Magari adesso avrebbe potuto parlarne con il suo quasi consuocero, il pezzo grosso. Chissà che lui aveva qualche aggancio al ministero. Poteva essere, avrebbe colto l’occasione per sistemare anche questa. Perché se bocca non apri, mosca non entra.
Così pensando aprì la buca delle lettere e sotto la bolletta del gas, trovò un pacchetto di sigarette. Lo prese e lo guardò bene. Il sigillo era storto, quel baluba del Fausto aveva lasciato le sigarette nella cassetta della posta, ma cosa era questa storia? Poi per curiosità lo aprì. Conta che ti riconta, non poteva essere una coincidenza, conteneva lo stesso numero di sigarette di quello del Leonardo.
Ma chi l’aveva lasciato proprio nella sua buca delle lettere? L’avevano scoperta? Facevano tutti parte di un’organizzazione criminale? Doveva fare testamento, no, trovarsi un testimone, no, una guardia del corpo. Si guardò attorno, forse la spiavano anche adesso. Vide sul marciapiede opposto un individuo con gli occhiali da sole, poteva essere una spia. Anzi, lo era di sicuro, aveva persino uno di quei robi lì che si mettono nelle orecchie per parlare al telefono. Poteva essere in contatto con qualcuno che le aveva dato le coordinate per andare a prenderla. Lo fissò impietrita, sarebbe stata questione di secondi, ripensò a tutta la sua vita. In un attimo vide scorrere davanti a sé la sua infanzia e la sua giovinezza, il suo magnifico volto immutato negli anni e poi all’improvviso sentì un fischio. Vide tutto nero, come se fosse sprofondata nell’oscurità della notte, le sue gambe non risposero più ai suoi comandi.
“Adele, Adele, sveglia.” Sentì una voce in lontananza, aprì gli occhi e vide il Fausto accasciato a terra di fianco a lei. O signur sa l’è succes, hanno preso anche il Fausto, lo sapevo che non era troppo sveglio.
“Adele, rispondi, stai bene?”, proseguì il Fausto.
L’Adele si guardò intorno, capì di essere distesa a terra davanti all’ingresso di casa. Ma non capì che cosa fosse successo, l’avevano aggredita di sicuro. Volevano darle un avvertimento, magari avrebbero osate farle ancora più male se non fosse arrivato il Fausto. Che uomo, che coraggio. Di fianco a lei il pacchetto di sigarette, che il Fausto, convinto di averlo perso mentre prestava soccorso alla consorte, infilò prontamente nella tasca del cappotto. E va, fa sparire le prove, guarda come è intelligente, pensò l’Adele.
Il Fausto ancora agitato per l’accaduto, voleva sincerarsi che l’Adele stesse bene. Il suo amico Piero passando sull’altro marciapiede l’aveva vista svenire e l’aveva subito chiamato. Il Fausto che era a due passi da casa, si era precipitato dall’Adele e l’aveva trovata a terra. Quando aveva visto che aveva aperto gli occhi si era un po’ rincuorato.
“Adele, come ti senti? Ti aiuto ad alzarti e ti porto in ospedale a fare un controllo.”
“No Fausto, andiamo a casa”, rispose. Non voleva assolutamente che in ospedale le facessero domande sull’accaduto, e se poi avesse dovuto sporgere denuncia? Il Fausto avrebbe preso qualche anno di galera per contrabbando e associazione a delinquere e lei avrebbe rischiato la vita. No, l’ospedale no. “Fausto, andiamo a casa va, deve essere stato un calo di pressione che stamattina non ho fatto colazione”, tentò di rassicurarlo.
“Va bene Adele, ma almeno per un paio di giorni rimani a casa a riposo.”
Eh, no a casa a riposo no, questo era troppo. Avrebbe destato sospetti, ma non aveva scelta. Tra l’ospedale e il riposo a casa, meglio questo ultimo. E poi c’era sempre il telefono, con quello si poteva ciciarare e tenersi informati e avrebbe avuto più tempo per pensare come uscire da quella storia. Sarebbe stato meglio se non avesse voluto agire per il bene pubblico, avrebbe dovuto pensare solo al suo. Ma cosa poteva farci, lei che aveva quella bontà lì di cuore, non poteva risparmiarsi. Adesso doveva sistemare pettegole e criminali. Avrebbe usato la sua astuzia, lei l’Adele dal pensiero multiforme, come quello lì che aveva visto una volta in una telenovela: l’Ulisse.
L’Adele non era la sola scontenta, quella mattina il Leonardo, che era uscito di casa presto come al solito per le sue commissioni, non aveva trovato il pacchetto di sigarette sotto il sellino. Porca galera, aveva pensato. Non ci si può più fidare di nessuno. Avrebbe volentieri scritto una lettera di protesta all’amministratore del condominio ma non poteva, se no la Mariuccia avrebbe saputo del suo vizio. Ecco, oltre il danno la beffa. Non era più come ai suoi tempi quando si condivideva tutto, adesso ognuno voleva arraffare il suo. Ai suoi tempi al lavoro si faceva a metà del pranzo, si dividevano le tirate d’orecchio, adesso tutti dietro a cercare il colpevole, il più debole. Queste cose lo facevano andare in bestia, gli stava già salendo la rabbia e con quella la pressione, era meglio tenerla bassa, che poi gli toccava far visita al dottore. Va, Leonardo, fa finta di niente, si disse e andò dritto dal Piero a comprare un nuovo pacchetto di sigarette. Prima il piacere e poi le commissioni.
Intanto alla scuola materna, sotto lo sguardo vigile e nerboruto della maestra Rosetta, si stava tenendo l’ora di ginnastica: corsa, gincana, quadro svedese. Tutte cose buone per rinvigorire il corpo e lo spirito. Sicuramente quella sera i bambini avrebbero dormito come sassi, stanchi e provati come erano, e infatti quando l’Andreina era andata a prendere sua nipote, l’aveva trovata stanca. Giusto il tempo della merenda e si era addormentata.
L’Adele, stravaccata sul divano, con la scusa del riposo aveva diretto il Fausto nei lavori di casa e aveva ragionato sugli ultimi avvenimenti. Si sentiva come in un libro di quelli gialli, che poi chissà perché si chiamavano così, lei non ne aveva mai letti ma aveva visto le pubblicità, e non le sembrava fossero gialli. Comunque tutti dicevano così e poco importava la motivazione. Si era fatta portare le pagine bianche dal Fausto e aveva cercato il numero della Mariuccia. Aveva capito che bisogna tenersi vicini gli amici e ancora più vicino i nemici.
Il telefono della Mariuccia era squillato diverse volte, prima che questa lo sentisse, quando rispose provò un subitaneo fastidio, una sensazione spiacevole. Dall’altro capo del filo l’Adele si fece strada: “Buonasera sciura Mariuccia, come sta?”
“Buonasera, chi è che parla?”
“Sono la signora Adele. Sa, la chiamo per scusarmi tanto per l’altro giorno. Non mi ero accorta di esserle venuta addosso. Andavo di corsa, sono sempre così impegnata. Spero che non se la sia presa.”
“Guardi, fortuna che non mi sono fatta niente, non è il modo di andare in giro e non si è nemmeno fermata. Perché io sono una donna d’un pezzo, d’una volta, sa, se no a quest’ora aveva già la rinuncia dalla polizia. Una bella rinuncia ed era a posto.”
“Mi dispiace tanto, davvero. Ci tengo a riparare perché so che è una brava persona. Posso scusarmi offrendole un caffè? Magari nel dopopranzo così il bar è più tranquillo e non c’è tutto il via vai delle solite zabette.”
“Al dopopranzo sono già occupata, ho appuntamento con l’Andreina, la mia vicina”, la Mariuccia, seppur contenta di poter mettersi in ghingeri per andare al bar a ciapà un caffè, non voleva dargliela vinta a quella lì. Meglio dimostrarsi superiori.
“Ma non c’è problema, venga con la sua amica”, colse la palla al balzo l’Adele, che si sarebbe trovata faccia a faccia con tutte e due le spie. “Allora facciamo alle quattordici al bar della Elena.”
La Mariuccia si trovò alle strette, credeva che la scusa dell’Andreina avrebbe retto. Non seppe cosa rispondere e si limitò a proferire: “Va bene.”
“Ne sono davvero contenta, a domani allora e una buona serata a lei e suo marito. Arrivederla.”
“Buonasera.”
Sì, una buona serata un corno, adesso doveva anche dire all’Andreina che l’indomani sarebbero dovute andare a bere il caffè con quell’impostora pettegola. Poi doveva pensare a fare bella figura, era meglio tirar fuori la pelliccia di castoro, che così quella lì sarebbe morta di invidia, altro che ‘l paltò. E poi lei era ancora bella, alta, una bella figura, mica come quell’Adele lì. Cappello di pelo e pelliccia. Ah, il fulart, si stava dimenticando, doveva dargli una stiratina, che era in fondo al cassettone da un po’ di tempo. Niente trucco, non ne aveva bisogno.
Domani mattina avrebbe chiamato l’Andreina per avvisarla, l’avrebbe supplicata di accompagnarla per non trovarsi faccia a faccia con la strega. Sicuramente non si sarebbe tirata indietro. Adesso era troppo tardi. Era ora di dormire.
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