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Storia aperta
Siamo in Italia, negli anni della seconda guerra mondiale.
C'è una grande storia, che è quella umana, politica, che tutti conosciamo e poi ci sono storie dentro di essa, che sono quelle degli individui che dalla grande storia sembrano essere fagocitati.
Pietro Migliorisi è un giovane poeta, giornalista, che pervaso dall'euforia fascista, che promette un mondo migliore, parte per combattere in Abissinia. La figura prende spunto dal ricordo del padre dello scrittore.
Come lui ci sono altri giovani, combattenti, partigiani, comunisti, ognuno con la sua voce, personaggi inventati o reali.
Il racconto è un continuo sovrapporsi di queste voci, dagli epistolari, dalle memorie, con la cronaca ufficiale degli avvenimenti. Possiamo così percepire come i personaggi che parlano, che l'autore chiama bambini diacronici, siano quei giovani di cui una volta scomparsi, vogliamo andare a leggerne la vita per cercare di comprendere la grande storia.
E il lettore è certo che storia significhi trovare certezze, ma quando noi leggiamo le parole di Pietro, ripetute più volte: " io sono un pazzo, io voglio uscire dalla storia", allora comprendiamo che proprio quei giovani che combattevano per degli ideali, di quegli ideali non erano sicuri.
Quando Pietro diventa partigiano, e poi comunista, anche in quel caso continua a porsi domande, anche in quel caso non vive in piena fedeltà coi suoi ideali, e prova vergogna per ciò che è stato, ma non trova pace per ciò che è.
La certezza che troviamo è proprio questa: il dubbio delle coscienze individuali, il chiaroscuro di molti personaggi, anche se schierati in un partito, a dimostrazione che la realtà non è mai semplice e lineare.
In opposizione a questa incertezza, lo scrittore utilizza un linguaggio con molte ripetizioni, continue ridondanze, che sembrano quasi filastrocche, come a darci l'impressione che la storia, i regimi, i partiti, abbiano sempre una melodia armonica ben definita, ma non è detto che serva da ninna nanna per le nostre menti.
Storia aperta di Davide Orecchio
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