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                                                                                     La doppia notte dei tigli

Berlino, anni '50.

Carlo Levi compie un viaggio nella Germania del dopoguerra. Con il suo occhio attento, aperto ad una riflessione che va oltre quella delle immagini visive, ma approfondisce l'essere umano e i suoi pensieri, ci restituisce un quadro di una nazione.

Una nazione che si regge in piedi su antitesi profonde, quella delle macerie della guerra, della miseria lasciatasi dietro e quella dell'orrore del nazismo che ancora brulica in alcuni individui, quella della guerra fredda che ereggerà muri e non solo, ed anche quella della scrittore che pur prendendo parte alla vita tedesca, quella vera, si sente un estraneo.

"Che cosa è rimasto, oltre le macerie dell'uomo? La Germania si nasconde. Il nazismo e la guerra sono stati un trauma di incalcolabile profondità. Malgrado tutte le apparenze, il trauma non è superato."

E pur con questi sentimenti contrastanti, non dimentichiamo che lo scrittore fosse per altro ebreo, egli cerca di scovare la verità sotto le apparenze, alla ricerca di autenticità.

Qualcosa Levi lo scova, è ciò che si nasconde dietro l'apparente quiete di un paese, è una fiamma, proprio come nel Faust di Goethe di cui lo scrittore rievoca i versi come paragone:

«Vedo fuochi scintillanti / Attraverso la doppia notte dei tigli; / Un braciere s’adira e cresce la sua violenza / Sotto le folate del vento. / Ah! L’interno della capanna è in fiamme (…)».

Quella fiamma che risplende nella notte, non è altro che il rogo di un'abitazione, un rogo appiccato da Faust che causerà un omicidio.

La doppia notte dei tigli di Carlo Levi  

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