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Intervista a Claudio Antonio Montrone, autore di OH, PRENDI DUE BIRRE DAL FRIGO! - lettere a papà
Siamo in compagnia di Claudio Antonio Montrone, autore di OH, PRENDI DUE BIRRE DAL FRIGO! -lettere a papà.
Vuole presentarsi e raccontarci in breve il suo libro?
Sono Claudio A. Montrone, un pedagogista che da quasi 20 anni lavora nel settore educativo internazionale di un movimento di Educazione popolare chiamato CEMEA. Un giorno mi sono scoperto scrittore, esattamente quando avevo bisogno di dare spazio alle mie emozioni. Ecco perché la mia prima pubblicazione è una raccolta di poesie in stile libero.
OH, PRENDI DUE BIRRE DAL FRIGO! -lettere a papà. Un vocativo che riprende il tempo del dialogo tra i figli e i padri. Il libro è una raccolta epistolare, lettere di figli e di figlie per i papà. Storie diverse con tematiche importanti, emozioni ritrovate o elaborazioni emotive che permettono di affrancarsi dal dolore di azioni subite. Un libro scritto per chi non ama leggere, le lettere permettono di seguire un proprio ordine, secondo la propria curiosità.
Questo libro mette insieme il mio lavoro, l’esperienza, con l’emotività che ho raccolto negli anni. Stefano, Mavita, Davide, Piero, Maria, Giovanni, Giuseppe, Valeria, Alessio, Mattia insieme ad Andrea, raccontano la propria storia e cosa ha comportato crescere nei loro contesti di vita.
Ogni protagonista è un eroe perché si ferma a riflettere su se stesso a partire dal significato della relazione avuta con il proprio padre.
I gesti di amore presenti nei testi si alternano alla rabbia che un padre può provare verso l’identità di un figlio, fino a negargli l’esistenza, qualora non sia pronto ad accogliere l’altro, soprattutto di fronte a un cambiamento profondo come può essere il cambio di genere. La negazione esercitata da parte dei padri arriva all’esclusione dei figli, alla cancellazione della loro personalità perché è difficile comprendere che siano delle entità a sé stanti, delle persone “altre” che compiono gesti e pensano a modo loro.
I figli e le figlie che non chiedono mai al papà come sia stata la sua giornata perché il papà riesce sempre a fare tutto, a risolvere i problemi soprattutto quelli in casa facendolo sembrare estremamente facile. Il papà resta quasi schiacciato dal peso dell’essere una figura mitologica e spesso si sente solo, in fin dei conti, i maschi sono educati a essere impermeabili e cristallizzati, “machi” e invulnerabili.
Questo libro è un invito ad accogliere l’emozione. Questa raccolta non auspica a dire il giusto e definire i torti e le ragioni, non vuole colpevolizzare, né stigmatizzare il mancato ruolo paterno. Si pone però una domanda: sarebbe possibile vivere il significato della parola genitore nel suo senso più allargato, generando dei significati di accoglienza, di gratuità e di cura nelle azioni che dirigiamo verso noi stessi e le altre persone?
Da dove nasce l'idea di un romanzo corale, che accolga così tanti punti di vista e storie differenti?
Se più voci parlano all’unisono, hanno la possibilità di dare impulso a una forza maggiore rispetto a quella del singolo.
Le degenerazioni comportamentali ed emotive sono effetti di un malessere che non elaboriamo. Per questo motivo ho pensato che una raccolta epistolare facesse al caso e che fosse l’unica forma letteraria che potesse contenere tante emozioni e tutta questa eterogeneità. Una voce plurale che potesse usare la forza dell’amore per poter dire che esiste un altro modo di fare e che fa bene.
Nel libro sono presenti donne e uomini di diverse età ed etnie, dal giudice alla poliziotta, dalla casalinga al mercante, dal sedicenne al cinquantaseienne, da chi decide di espatriare per darsi un’occasione e a chi vive costantemente con l’idea di non essere abbastanza. Chi deve fare i conti con la propria identità sessuale e con la gelosia, chi con l’abuso delle sostanze e chi con il disturbo dell’Adhd.
Il messaggio che mi piacerebbe trasmettere è che non siamo soli ad affrontare la sofferenza, ci sono persone che hanno lottato per poter costruire un benessere psicofisico e sono riuscite a orientarsi diversamente. Chi sopravvive non trova mai il tempo di raccontare la propria storia, invece, credo che esista il bisogno di buoni esempi propositivi, di ascoltare le voci che ci raccontano di vissuti dolorosi; sapere che altre persone non si siano tirate indietro e hanno trasformato la sofferenza in una spinta propulsiva, l’hanno canalizzata e sono stati in grado di procedere con la propria vita.
Perché ha scelto di dar voce ai figli/e piuttosto che ai padri?
Perché figli lo siamo tutti, i nostri padri lo sono da prima di noi e, prima o poi, tutti quanti facciamo quell’incontro fortuito con noi stessi. Quell’incontro è un momento importantissimo per fare un bilancio della nostra storia, delle ferite, delle emozioni positive, degli insegnamenti, per capire chi siamo, per ascoltarci e migliorarci come essere umani. Per provarci almeno.
Lo scopo del libro è promuovere e condividere un sentimento di cura e accoglimento, nonostante tutto quello che possa capitare, abbiamo una scelta: restare con il torto subito, dare spazio a una mancanza che fa rumore o comprendere che elaborare un dolore è possibile.
Cosa si aspetterebbe rispondessero quei padri ai quali le lettere sono indirizzate?
Di solito chi resta indietro, in un tempo passato, deve proseguire il cammino in un’altra direzione. Quindi non ho aspettative sulle risposte.
Quei padri che rifiutano e che generano violenza spero che abbiano trovato la pace di cui abbisognavano. Spero che non abbiano seminato altra violenza e che non perduri lo stato di malessere in cui erano tanti anni fa, gli auguro che possano trovare un modo per generare un’adultità fatta di consapevolezza proattiva.
Per fortuna quei figli, narratori e narratrici delle loro storie, hanno ritrovato la forza e la voglia di vivere, hanno compreso quanto sia ingiusta la cattiveria, la violenza, la non accettazione e hanno costruito una vita su valori imprescindibili, su cui il loro benessere ruota.
Tutte le lettere sono una riscrittura in base alle esperienze a lei pervenute nei suoi anni di lavoro come pedagogista, counselor ed esperto di scrittura emotiva. Ha trovato difficoltà a scrivere di qualche rapporto padre figlio/a in particolare?
Personificare e identificare le storie più appropriate alle emozioni e agli insegnamenti da condividere, è stato un lavoro che ha richiesto un certo tipo di impegno. Non ho avuto difficoltà se non quella di ritagliare il tempo della scrittura e che potesse coincidere con un mio equilibrio emotivo. Quando si maneggia la scrittura emotiva bisogna permanere nell’emotività e non lasciarla andare finché non è compiuta la parola o il testo che la contiene. L’emozione è un corpo nudo, la parola doveva asservirlo per proteggerlo e dargli forza.
Quale tematica tra quelle trattate le sta più a cuore?
Il diritto a esistere dignitosamente è l’insegnamento che più mi sta a cuore.
Tutte le tematiche del libro mi sono care perché ogni emozione racchiusa nei testi, mi ricollega a persone in carne ed ossa che mi hanno insegnato con la loro testimonianza, cosa volesse dire risollevarsi, ricominciare, ripartire da sé, nonostante la sofferenza.
Come adulti abbiamo la responsabilità di agire consapevolmente con cura e attenzione a ciò che ci circonda. Le tematiche sono attuali, dati gli accadimenti e le degenerazioni sociali che spesso ritroviamo nella cronaca.
Credo profondamente che la letteratura possa aiutarci a renderci consapevoli. Essa può permettere quell’incontro con la nostra solitudine e darci occasione di crescere.
Il mio lavoro come pedagogista è proteso a difendere il diritto di vivere una vita dignitosa, con quest’opera, ho la possibilità di superare le distanze fisiche e affermare che la possibilità di star bene esiste davvero. Ci dobbiamo arrivare, a volte costa più fatica di altre, ma esiste e sta a noi figli rendere delle occasioni la nostra possibilità.
Nel suo libro i figli e le figlie che scrivono ai propri padri hanno età differenti. Ritiene che a seconda dell'età ci sia una diversa consapevolezza della genitorialità o che la questione sia invece soggettiva?
Generalmente la consapevolezza è legata alla capacità di elaborare i vissuti e quello che ci accade. Tendenzialmente chi ha il vantaggio di avere un’età più avanzata, potenzialmente dovrebbe possedere più strumenti con cui disciogliere le criticità e rincuorare le fragilità. Non sempre questo è veritiero, non sempre siamo pronti ad accogliere i nostri vissuti e ad effettuarne un’elaborazione.
I protagonisti delle mie storie invece sono a un livello molto alto di accoglimento della sofferenza, potersi fermare a scrivere è un’azione coraggiosa, comprendendo che la lettera sia un momento di chiusura di una fase della loro vita. La scrittura è legata all’emotività, poter comporre dei pensieri e circoscrivere la condizione che ci ha inflitto una pena, significa poterla affrontare da eroina e da eroi. Chi affronta la sieropositività, chi la propria identità di genere, chi la violenza o l’educazione alla rinuncia, chi la negazione del diritto a esistere; ciò che spinge ogni personaggio a farlo è un pensiero specifico e definito: potersi appropriare della propria idea di benessere, finalmente godersi quanto accade nel presente nel rispetto delle libertà e con attenzione e cura verso gli altri.
Essi ricorderanno sempre cosa gli ha generato sofferenza, ma decidono di assumerla come monito per non reiterarlo verso gli altri, ecco che i figli e le figlie si trasformano in genitori, cioè generatori di azioni di cura verso se stessi e verso le persone a loro care. L’affettività è una cosa complessa e fin quando non ci addentriamo nella nostra intimità, possiamo correre il rischio di pensarci non meritevoli di amore da noi stessi e dagli altri.
L'ultima lettera è lasciata in bianco, destinata alla scrittura da parte del lettore al proprio padre. Cosa scriverebbe lei a suo padre?
Ai miei 17 papà scrivo di non demordere, anche loro sono figli, lo saranno per sempre e possono adoperare le loro esperienze per poter comprendere come agire da adulti, senza ferire, accogliendo con delicatezza quanto la vita ha ancora da offrirgli.
Chi ha perso la possibilità di lasciare un ricordo positivo ai propri figli e alle proprie figlie, può cercare di sfruttare il tempo che gli resta per poter conoscere nuove persone e offrire quel ricordo in cambio della solitudine che l’attende. Purtroppo, non si fa ammenda per il passato, il passato è oramai andato, fuggito in una direzione lontana, finito in una dimensione che scavalca l’abisso e trova rifugio negli affetti e negli insegnamenti e perché no, in una prospettiva.
I miei diciassette papà mi hanno insegnato: “l’amore paterno”, “l’impegno quotidiano”, “la solidarietà”, “la capacità di generare azioni di cura”.
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