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Favola

La favola non è solo per bambini.

Dietro la favola c'è una tradizionale orale, prima che scritta; c'è un focolare, un villaggio, un nucleo, una famiglia.

Prima che le fiabe più famose fossero canonizzate così come le conosciamo, esse circolavano senza che fossero scritte.

Era la bellezza di un anziano, di una mamma che raccontava.  La bellezza di una fiaba che rimaneva tale in una comunità e si discostava solo nei dettagli da un'altra. La fiaba era un senso di appartenenza, un momento di identificazione.

Ma la favola è molto di più: è liberare la creatività e attenersi comunque ad uno schema, è un magnifico esercizio di logica e di rottura di esso. Sembrerà una cosa sciocca ma il racconto di una favola aiuta lo sviluppo del bambino.

A questo proposito è molto bello un libro di Gianni Rodari, "Grammatica della fantasia", in cui analizza gli schemi della favola evidenziandone le regole e poi con una classe di bambini delle elementari cerca di stravolgere questa struttura, curioso delle loro reazioni. E così il bambino ha una doppia opportunità, quella di sognare e divertirsi ascoltando una favola e quella di creare a sua volta, utilizzando meccanismi che aiutano il suo sviluppo cognitivo oltre che umano.

Vorrei spendere qualche parola per chi ha aiutato a collezionare molte favole in Europa e a pubblicare le prime raccolte che rimasero famose fino ad oggi.

Giambattista Basile nacque  in Campania nel 1566, governatore di diversi feudi ed esponente dell’ Accademia degli Stravaganti, passò alla storia per la sua opera: “Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille”, conosciuto anche, come “Lo cunto dei cunti”. L’opera è una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana ed è strutturata sul modello del Decamerone di Boccaccio. Basile raccolse le storie più tramandate, di tutti i continenti, reinterpretandole in chiave moralista, abusando dell’idea del mondo al contrario e ritraendo personaggi che si comportano in modo assurdo, contro ogni stereotipo, ma sempre seguendo una logica chiarissima.

Quasi contemporaneo di Basile, Charles Perrault, nato a Parigi nel 1628, raccolse numerose fiabe sotto il titolo di "Racconti di mamma Oca". Tra quelle presenti ricordiamo: Cappuccetto rosso, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco, Il gatto con gli stivali e Pollicino. Pierrault  fu segretario delle belle arti e sovrintendente ai monumenti e all'architettura alla corte del re Sole. Lo stile della trasposizione scritta delle sue fiabe è sicuramente uno stile colto e ricco di morale che ben si addice ala fruizione nobiliare.

La sua raccolta diventò famosa in Europa e non passò inosservata, durante il 1800 a due studiosi linguisti e filologi tedeschi: i fratelli Grimm.  I quali a loro volta pubblicarono tra il 1811 e il 1822, una raccolta di fiabe dal titolo: " Fiabe per bambini e famiglie". Essi erano interessati alle tradizioni popolari e alle radici della lingua e cultura tedesca e la pubblicazione delle fiabe doveva contribuire a riscoprire un'identità nazionale tedesca che alla loro epoca non esisteva ancora.

Sempre nel 1800 visse un altro grandissimo scrittore di fiabe: Hans Christian Andersen. Le sue fiabe, composte e pubblicate in danese fra il 1835 e il 1874, scaturiscono in gran parte dalla fantasia originale dell’autore e solo in minima parte dalla materia popolare cui pure, almeno inizialmente, egli dichiarò di ispirarsi.  Andersen non si limita a ripercorrere e reinterpretare il filo della grande tradizione favolistica europea. Prima di lui maghi, streghe, gnomi, draghi, fate e orchi erano figure dotate di poteri speciali, dalla sapienza impenetrabile, misteriosa, ignota al lettore. Andersen, al contrario, opera una sorta di umanizzazione di animali e cose, mettendo in scena protagonisti di sconsolata umanità. È qui il segreto del suo successo: inventare figure irreali, per poi subito immergerle nel mondo reale, nella quotidianità delle passioni e delle pulsioni. 

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